dal resoconto stenografico Senato della Repubblica. Seduta pomeridiana del 28 marzo 2017
CALIENDO (FI-PdL XVII). Signora Presidente, io conoscevo Mario Almerighi da quarantasette anni. Egli non avrebbe mai voluto essere ricordato come un combattente ideale e politico: era un magistrato, un magistrato che credeva nella forza della legge, nella forza della legalità. Noi entrammo insieme in magistratura e dopo cinque anni fummo eletti al Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio di Vittorio Bachelet. Abbiamo sofferto tutta l’epoca del terrorismo nel nostro Paese. E non erano certamente le posizioni politiche che ci aiutavano a ragionare e lottare! (Applausi dei senatori Bernini e Sacconi). Ieri, al suo funerale è stato ricordato come, quando lasciò Civitavecchia, non per il silenzio di quest’Assemblea ma per una gestione burocratica del Consiglio superiore della magistratura, egli disse: «Ho dato la mia vita per la legalità e la giustizia. Forse questa è la mia colpa». Questa è la legge. Questa è la logica dell’uomo. Egli era nato in Sardegna e io mi divertivo molto quando ascoltavo una frase in lingua sarda senza consonanti – che il collega Cucca, nonostante sia sardo non riesce a pronunciare – che lui diceva sempre. Era un uomo poliedrico che aveva tanti interessi nella vita. Oltre a fare il magistrato, ha scritto dei libri e negli ultimi tempi si era dedicato anche a creare pièce teatrali e a svolgere attività di sceneggiatore, tanto da avere avuto la soddisfazione di vedere i suoi lavori programmati in vari teatri. È questa la logica della commemorazione. Non è uno scontro politico, ma è la logica di commemorare un uomo che ha servito lo Stato, servendo la legge, e la legge è al di sopra di tutti noi. Credo che questo sia il migliore ricordo di Mario Almerighi. (Applausi dai Gruppi FI-PdL XVII e CoR).