di Giovanni Bachelet
Ho incontrato personalmente il mitico Furio Colombo solo due volte, lui non lo ricorderebbe, io ovviamente sí. La prima volta per merito di Prodi, campagna elettorale 1996. Era, insieme a Tana de Zulueta, me e pochi altri, un raro esemplare della specie “candidato-ulivista-non-proveniente-dai-partiti”. La seconda ed ultima a fine settembre 2014, per merito del non meno mitico giudice Mario Almerighi, che mi aveva fatto il grande onore di invitarmi al suo indimenticabile settantacinquesimo compleanno. In tutti questi anni, però, mi sono spesso trovato da lontano a fare segretamente la ola per lui: quando ha promosso con una legge la giornata della memoria che da allora si celebra proprio in questi giorni di gennaio; quando ha fondato Sinistra per Israele; quando ha fondato con Padellaro il Fatto Quotidiano; quando nel 2022 lo ha abbandonato, per le stesse ragioni per cui l’avrei abbandonato io. Se ho sentito il bisogno di partecipare al suo funerale, dove ho incontrato diversi amici e colleghi di battaglie memorabili, è però soprattutto per portare il saluto e il grazie di un’altra fraterna amica che come il giudice Almerighi ci ha purtroppo già lasciato e non poteva quindi esserci: Delia Vaccarello, giornalista dell’Unità, scrittrice e anima del movimento LGBT. Le brillavano gli occhi quando mi diceva che Furio Colombo, da direttore, nel quadro di una rinnovata attenzione al tema dei diritti, le aveva dato carta bianca, creando e affidando a lei la rubrica “Liberi tutti”.